Poliziotta racconta le molestie sul lavoro: “Ho parlato e i superiori mi hanno proposto il trasferimento”

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"Arrivano donne che sporgono denuncia contro uomini, spesso partner, che le costringono a subire violenze da anni. Ciò che forse non si aspettano è che anche noi siamo costrette a subire discriminazioni e molestie ogni giorno dai colleghi. E oggi ho deciso di raccontarlo". A parlare di quello che le è accaduto all'interno della Polizia di Stato, è Lucia (nome di fantasia) che in occasione della Giornata Internazionale della Donna dell'8 marzo, ha deciso di condividere la sua storia. "Non è una situazione che riguarda solo me, ma, a quanto ne so, accomuna tante colleghe, anche di altre forze di polizia e delle forze armate. Fra noi ci sentiamo spesso, cerchiamo di farci forza insieme. Così ho deciso di condividere la mia storia".
La situazione peggiora quando a commettere le molestie sono i superiori di grado: "Non sappiamo come reagire in quel caso. Possiamo denunciare, ma le conseguenze sul lavoro sono tangibili. L'amministrazione in questi casi non ci tutela, ma non è più possibile andare avanti. Le donne sono entrate a far parte della Polizia di Stato nel 1981, ma soltanto formalmente. Da quel momento i cambiamenti ci sono stati ma appaiono come impercettibili rispetto alle richieste sociali delle donne in generale".
Molestate ogni giorno dai colleghi: "È così che andiamo avanti"
Le discriminazioni e le molestie sessuali sono all'ordine del giorno. "Non è normale nel 2025. Sembra che i loro corpi vivevano in quest'anno, le loro menti sono rimaste chiuse al secolo scorso – continua Lucia – Le molestie sessuali sono all'ordine del giorno, i commenti spinti pure. È un'egemonia maschilista, non la so definire in maniera diversa".
E ricorda alcuni episodi. "Mi è capitato di ricevere battute sessualmente esplicite e invadenti, ovviamente non richieste, da parte di colleghi di pari grado, ma in quei casi la reazione e la risposta a tono arriva. È così che riesco ad andare avanti: rispondendo ai colpi – spiega – Oggi te la sei rasata?, mi ha chiesto una volta un collega, dal nulla. Non dovrebbe avvenire, né in un qualsiasi luogo di lavoro né altrove".
Inutile dire che delle mosche bianche esistono: "Così come ci sono delle colleghe di grado superiore da cui è meglio tenersi alla larga, esiste anche una larga parte di colleghi dotati di intelligenza emotiva e buon senso con cui è più facile confrontarsi", sottolinea. Il peggio è quando a rivolgersi alle poliziotte sono talvolta i dirigenti, superiori nella gerarchia della Polizia.
Le molestie dai superiori: "Non denunciare, trasferisciti"
"Oltre alle battute spinte e alle molestie, ci sono superiori che osservano le colleghe e poi danno dei voti, ad esempio – spiega – Lo hanno fatto anche davanti a me. Non sapevo come reagire, dove guardare. Denunciare la situazione porterebbe all'apertura di un procedimento disciplinare, perché viene commesso un reato, con nomi, cognomi e, di conseguenza, il possibile isolamento e cambiamento di atteggiamento da parte di alcuni colleghi. Ma anche rispondere a tono porta delle ripercussioni: si rischia di essere spostate d'ufficio o di non essere considerate per le grandi operazioni sul campo".
Difficile essere comprese a capite anche dai propri diretti superiori: "Ho provato a farlo presente. Mi sono sentita rispondere che probabilmente ho interpretato male ciò che voleva dire. Forse stai esagerando, mi hanno detto. Poi ho notato che sono aumentati gli ostacoli nel mio lavoro – spiega ancora Lucia, esasperata – Non c'è un protocollo a cui attenerci in questi casi. Per caso, confrontandomi con le colleghe, ho scoperto che non succede soltanto a me. Sembra che viviamo tutte la stessa vita, subiamo le stesse molestie, dobbiamo far fronte alle stesse battute".
La reazione in queste situazioni è la stessa che spesso abbiamo tutte, anche al di fuori dall'ambiente di lavoro. "Ti fanno la battuta, ti blocchi. Materialmente non sai come reagire, non sai neanche dove guardare. Se guardare a terra, se guardare in alto, se guardarlo in faccia. Mi capita tutti i giorni ed è insostenibile". L'unica cosa che si può fare è denunciare. "Rivelare l'accaduto ai nostri dirigenti è fuori discussione. Quando ci ho provato, non hanno manifestato supporto, anzi – spiega Lucia, evidenziando la vittimizzazione secondaria subita anche dalle poliziotte – Una volta mi sono sentita dire: Vabbè, allora chieda trasferimento. Cioè, piuttosto sarei dovuta essere io a spostarmi. Se non stai bene in questo posto, chiedi il trasferimento. Come se il problema fosse chi subisce una molestia e non chi molesta. Come se il trasferimento non portasse con sé ulteriori problemi negli spostamenti, nella vita quotidiana".

Il lavoro delle poliziotte: "Ci chiamano quando serviamo"
Quelli analizzati fino ad ora sono i casi più gravi. Ma secondo l'esperienza di Lucia, ogni giorno si verificano microaggressioni e discriminazioni sul lavoro che subisce soltanto perché è donna. "Ho notato che spesso siamo relegate talvolta alla difesa sociale e non siamo considerate per la difesa criminale. Una volta mi hanno chiamato a prendere parte ad una grande operazione. Sono stata felice. L'ho preso come il risultato dei miei sforzi, del mio impegno sul lavoro e sulle lauree ottenute". Qualche giorno dopo è arrivata l'amara scoperta.
"Qualcuno mi disse che ero stata scelta perché serviva una donna che potesse effettuare perquisizioni alle altre donne. Sono rimasta allibita". Sicuramente Lucia quando ha intrapreso la sua carriera si aspettava di servire lo Stato in un'altra maniera, non di certo i colleghi. "Quando c'è stata l'occasione per un altro intervento e ho chiesto di poter partecipare, si sono rifiutati di avermi con loro: mi hanno detto che dovevano inseguire i sospettati e che, in quanto donna, non sarei stata utile. Si doveva correre – ricorda – La cosa che più mi ha dato fastidio è che per loro era una questione naturale".
Anche le donne in divisa sono vittime due volte
Nel 1959 è nato il Corpo di polizia femminile, non inserito in un ordinamento militare e dedicato a tematiche come la protezione della donna e la tutela dei minori, poi sciolto nel 1981 quando le donne sono entrate a far parte della Polizia di Stato. "Insomma, è come se da quel momento fosse cambiato ben poco – spiega Lucia – Per i nostri colleghi, spesso serviamo solo ed esclusivamente per svolgere perquisizioni ad altre donne, lavoro di cura nei casi in cui siano coinvolti bambini e bambine o, ancora, a raccogliere le denunce di stalking e maltrattamenti. Noi non ci tiriamo indietro".
Lucia spiega che spesso, infatti, le donne che arrivano a denunciare gli abusi, trovando magari quel coraggio che aspettavano da tempo, una volta in questura o in commissariato si trovano a dover combattere con operatori che non credono a ciò che sentono e che mettono in dubbio le loro testimonianze. "Sappiamo sulla nostra pelle cosa voglia dire non essere prese sul serio in caso di molestie e anche in casi più gravi. Spesso mi è capitato che il collega, vedendo un codice rosso, mi abbia chiesto o quasi costretto ad intervenire. Vai tu, che questa è roba delicata, è roba tua, hanno detto – precisa Lucia – Quando tutte e tutti noi operatori dovremmo essere in grado di fare qualsiasi cosa, dalle grandi operazioni interforze, di quelle che si fanno la mattina quando è ancora buio, fino a raccogliere le denunce di una donna che ha subito violenza", spiega.
Le prime discriminazioni cominciano per il concorso
Quelle sul campo sono solo l'apice delle discriminazioni che sono costrette a subire. "Il problema è già all'ingresso – racconta Lucia – Quando veniamo ricevuti per gli accertamenti medici durante il concorso. Restiamo in intimo, sia uomini che donne. Poi scattano i controlli". Come ricorda Lucia, alle forze dell'ordine non è permesso avere tatuaggi evidenti sul corpo e, soprattutto, non possono essere tatuate tutte le parti che restano scoperte quando si indossa la divisa. "Questo vuol dire che c'è massima attenzione per la parte superiore del corpo, nelle donne così come per gli uomini. Nella parte inferiore, invece, l'attenzione è soltanto per noi: dopo oltre quaranta anni, infatti, la divisa di rappresentanza per le poliziotte resta quella con la gonna al ginocchio (foto in apertura, ndr). Per indossare i pantaloni occorre chiedere una deroga".
E quindi sono solo le donne ad essere sottoposte a controlli per risultare prive di tatuaggi sulle gambe. "Prima di partecipare al concorso mi sono sottoposta all'operazione per eliminare i tatuaggi: sono stata costretta a dire che la cicatrice che aveva sul polpaccio era dovuta alla caduta da una bicicletta – ricorda Lucia – Ci sono stati comunque problemi, perché è un segno che rende identificabile l'agente, ma poi niente di più. Se si tratta di rimozione di tatuaggi o di tatuaggi stessi si rischia la mancata ammissione. Eppure non ci sono grandi differenze".
La rabbia: "Non mi sento tutelata"
Microaggressioni, discriminazioni, molestie sessuali. Una situazione che per Lucia è diventata insostenibile. E la rabbia lascia posto alla rassegnazione. "Se di fronte alle molestie sessuali più gravi mi hanno risposto suggerendomi un trasferimento, cosa mi direbbero se chiedessi un trattamento equo rispetto a quello dei miei colleghi anche nel codice di abbigliamento?", si chiede Lucia, che si è rivolta per questo al Gruppo Donne Silp Cgil.
"Se non trovo una risposta da parte dell'amministrazione che mi dovrebbe tutelare, allora non ha non ha neanche senso denunciare, non ha neanche senso attivarsi, non ha senso proprio fare niente. Ma noi sappiamo che dobbiamo farlo. Ed è anche per questo che ho deciso di raccontare cosa mi è successo. Tutti e tutte devono sapere. Nessuna deve più sentirsi sola – aggiunge, prima di concludere – Resta l'amaro di chi sa che le donne sono entrate nei corpi di Polizia, ma che i corpi di polizia non sono ancora pienamente dalla parte delle donne".